MUSEI CIVICI - QUALE FUTURO

MUSEI CIVICI - QUALE FUTURO

mercoledì 30 ottobre 2013

PATRIMONIO MUSEALE DI FAENZA: LE RACCOLTE CIVICHE

Le raccolte civiche nel contesto del
patrimonio museale di Faenza

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Marcella Vitali
Italia Nostra - Sez. di Faenza

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Il ricchissimo patrimonio museale della città è una realtà molto varia e articolata
per situazioni e posizioni giuridiche.
- Il Museo Internazionale delle Ceramiche (MIC) è una fondazione.
- Il Palazzo Milzetti, Museo dell'Età neoclassica in Romagna è un museo statale.
- L'Archeologico è un museo statale (anni fa fu predisposto un progetto in ambito di spazi di proprietà comunale, oggi rischia di essere  museo fornitore di altrui raccolte).
- Il Museo Diocesano appartiene alla Curia Diocesana.
- Il Museo Zauli è una raccolta  privata.
- Il Museo Gatti è la raccolta storica della fabbrica Ceramica Gatti.
- La Pinacoteca Comunale è  museo civico ed  ha sede propria, come il Museo del Risorgimento (dipende dalla Biblioteca Comunale);  il Museo del Teatro, non visitabile (dipende dalla Biblioteca Comunale);  il Museo di Scienze Naturali, non visitabile

Se si considerano le Raccolte civiche, di fatto formatesi nel 1797, furono strutturate musealmente e aperte al pubblico nel 1875 nell'ambito di uno degli avvenimenti più ricchi di sviluppi dei primi decenni post-unitari; nel 1879 sotto la direzione di Federico Argnani, acquistarono qualifica di Museo Civico.
In questa operazione si comprende il senso della prospettiva dell'Argnani che può essere annoverato tra i più lucidi protagonisti di quel fenomeno che, nella seconda metà dell'Ottocento, portò alla creazione di una fitta rete di Musei civici, che, riallacciandosi alla grande stagione illuministico-rivoluzionaria, si organizzarono come raccolte miste di archeologia, arti maggiori e minori, numismatica e testimonianze della storia civile.
Dopo un inizio tanto entusiasmante, la vita del Museo faentino come quella di altri musei civici, prese a svolgersi in modo più stentato.
Durante la successiva direzione di Achille Calzi, la Pinacoteca visse momenti particolari per l'intrecciarsi della vicenda del Calzi (Museo Civico) con quella del Ballardini e la nascente imponente struttura del Museo delle Ceramiche che prefigurava con lungimiranza un istituto aperto verso vari settori, dalla conser-vazione allo studio, alla documentazione, intendendo peraltro assumere un ruolo propositivo verso l'artigianato.
Fu probabilmente anche il nuovo porsi del museo come proiezione di un'esclusiva e autentica immagine della città a dare l'acceleratore alla realizza-zione di un progetto che parve subito conflittuale con l'esistenza di un Museo civico finalizzato ad documentare tutti i settori della storia artistica faentina, ceramica compresa, offrendo la possibilità di una diretta verifica delle relazioni e dei nessi tra loro esistenti.
La strenua difesa del Museo Civico da parte del Direttore sottintendeva ben altre impostazioni culturali, cosciente che le mutilazioni che venivano proposte (ad esempio la cessione delle maioliche) avrebbe segnato la perdita di una identità oltre alla difficoltà futura di cogliere la sostanza reale della storia delle arti a Faenza; il progetto “internazionale” del Museo delle Ceramiche avrebbe necessariamente visti diminuiti prestigio e attenzioni verso il Museo Civico.
La posizione del Calzi finì poi per scontrarsi con i diversi indirizzi del Soprin-tendente Francesco Malaguzzi Valeri che indicava la necessità di limitare le raccolte alle sole opere di pittura e scultura a scapito del Museo Civico.
La morte precoce del Calzi segnò una svolta; il posto di Conservatore venne radiato dal ruolo degli impiegati comunali ed il Malaguzzi Valeri tra il 1920-21 attuò la propria ristrutturazione procedendo all'eliminazione dei cimeli e reperti, ceramiche comprese, sistemando poi gli ambienti a quadreria: maioliche al Museo, oggetti al Museo teatrale, cimeli torricelliani, lapidi ecc. alla Biblioteca.
Nonostante tutto con gli anni '30 l'Istituto cominciò a risentire di una certa stabilità che consentì l'avvio di cospicue donazioni e soprattutto lo studio delle opere, anche per l'invio a mostre significative che stimolarono il fiorire degli studi.
Il sopraggiungere degli eventi bellici richiese lo sgombero delle collezioni dalla Pinacoteca che venne riaperta nel 1950 a guerra ultimata.  Alla riapertura, nonostante i mezzi limitati imposti dalle ristrettezze economiche, si prendeva atto che non si trattava di una sistemazione post-bellica ma di una ragionata revisione del materiale, grazie all'opera della Direzione, all'opera dei restauratori, ai consigli di Ennio Golfieri e soprattutto alla collaborazione di Roberto Longhi.
Gli anni che seguirono, almeno dino al '75 furono impegnati da importanti iniziative: cura del catalogo per registrare ormai la mutata funzione da Museo Civico a Pinacoteca, studi, presenza di opere a mostre significative, rapporti con critici e studiosi, mezzi di divulgazione in stretta economia, soprattutto la presa di coscienza della necessità di costituire quanto prima una Galleria d'Arte Moderna, per l'ampliamento delle raccolte.
L'attenzione degli studi e le iniziative degli ultimi tempi si sovrappongono tuttavia ad un reale dato di fatto, ossia ad una grave crisi di identità della Pinacoteca.    L'essere oggetto di vivaci e serrate polemiche, se da un lato ha contribuito a risolvere alcuni problemi, soprattutto dal punto di vista conservativo e gestionale, dall'altro non ha offerto stimoli sufficienti per far decollare l'Istituto, che ancora purtroppo soffre delle conseguenze del vecchio pregiudizio, a lungo diffuso negli ambienti culturalmente meno aperti, di museo depositario di cultura elitaria e aristocratica, perché di matrice umanistica.    Così mentre altrove i flussi turistici e la considerazione del pubblico, decisamente migliorati negli ultimi anni, hanno richiesto sistemazioni e aperture di musei locali e di pinacoteche di provincia, anche nel caso di modeste raccolte, Faenza fatica a prendere coscienza dell'alto livello e delle potenzialità del proprio patrimonio e della storia artistica della città, trovando difficoltà a ricomporre in una logica unità ideale l'aspetto della produzione pittorica e della tradizione ceramica, ritenuta di più facile e scontata identificazione.
Le soluzioni dei problemi parvero venire – vivente ancora il conservatore Archi – da un progetto di trasferimento in Palazzo Mazzolani: fin dall'estate 1976, poi si cominciò a valutare l'ipotesi di costruire in tale sede un Centro Culturale Polivalente comprensivo di Museo Archeologico, Pinacoteca e Galleria d'Arte Moderna, Museo del Risorgimento, ecc.  La proposta trovò vivace opposizione che finì per congelare il progetto.
Negli anni successivi il problema del riordinamento della Pinacoteca fin' per diventare il nodo cruciale attorno al quale ruotò gran parte della polemica fino alla decisione di chiudere anche la Sezione Antica (febbraio 1988) e questo dopo la chiusura della Moderna già dal 1981.  La polemica finì per divampare in città, soprattutto a causa del protrarsi della chiusura della Sezione Antica, e registrò duri interventi.
Nel gennaio 1995 l'Amministrazione Comunale interruppe inaspettatamente le trattative per l'acquisto di Palazzo Mazzolani, dichiarando di voler cercare soluzioni alternative.  I due anni successivi registrano un incalzare di iniziative a favore dell'apertura, che testimoniano una ben più ampia diffusione del problema fuori dal ristretto ambito cittadino: prima la serie di tre manifesti con l'invito provocatorio ai cittadini di chiedere conto della data di riapertura (aprile-giugno 1996); poi l'inserimento di un servizio sulla Pinacoteca di Faenza nel programma televisivo di Nino Criscenti “Arte negata”, condotto da Federico Zeri, trasmesso da Rai Uno il 24 giugno 1996 e parallelamente il servizio dello stesso Criscenti su “Il Giornale dell'Arte”, infine la conferenza di Antonio Paolucci a Faenza il 3 ottobre 1997 con l'accattivante titolo “La Pinacoteca di Faenza: piccolo pantheon della pittura romagnola” con l'invito alla città di riappropriarsi della propria storia artistica.
Negli successivi si decise di procedere ai lavori di ristrutturazione, adeguamento e messa a norma degli impianti.  Faenza aveva comunque perso troppo tempo prezioso che solo con molta fatica e impegno si sarebbe potuto superare la posizione di svantaggio che l'ha relegata come perdente per il giudizio diffuso di disinteresse culturale che aleggia come un'ombra per l'esclusiva promozione a favore del Museo delle Ceramiche.
Superare il limite della cosiddetta “monocultura”, già tanto temuta all'inizio da Achille Calzi, rivalutare il proprio tesoro nascosto e rivendicare il senso più autentico della propria storia artistica, potrebbe in teoria la scommessa di oggi.
Oggi quali sono le prospettive ?  Nonostante gli sforzi e l'attività spesso generosa la Pinacoteca presenta una serie di problemi e di criticità.
Innanzi tutto l'essere ridotta negli ambienti espositivi rispetto alla sistemazione precedente tanto da rendere possibile l'esposizione solo fino all'età manierista; l'impossibilità soprattutto di rendere fruibile la sezione moderna per la quale non paiono esserci prospettive.
La difficoltà di ampliamento degli spazi, va detto, trova ostacoli oltre che negli aspetti economici, dalla problematica presenza del Liceo nello stesso edificio che pone resistenza ad ogni ipotesi di trasferimento.
Si aggiunga a questo punto la situazione critica dal punto di vista finanziario che fornisce un ottimo alibi non solo per prolungare in maniera accettabile l'apertura, ma anche per un minimo di attività.
Altro enorme problema. Faenza ha un patrimonio culturale ricchissimo, perfino sovradimensionato rispetto alle possibilità di una città di provincia, con realtà gestionali diversificate:  Fondazioni, musei privati, musei statali, musei civici che nonostante gli sforzi ed il progetto ambizioso e opportuno di una rete museale non si riesce a far decollare, così sopravvivono tante realtà senza quel coordinamento che dovrebbe scaturire da un progetto culturale per la città e a lungo termine.
Questo dovrebbe scaturire dalla coscienza di quella unità della cultura che potrebbe far cogliere nessi e relazioni tra ceramica, pittura, scultura, neoclassico ecc. come espressioni e linguaggi che devono essere ricomposti tra loro per cogliere il senso più autentico della cultura del territorio: una visione quindi ben più ampia cui si oppongono la logica della gestione spesso burocratizzata del patrimonio culturale civico come la politica culturale che si indirizza soprattutto in favore degli eventi effimeri come nella valorizzazione del contemporaneo spesso sradicato dal contesto.
Credo che al di là delle contingenze e dei problemi economici, la crisi delle Istituzioni museali e civiche non consista tanto nella crisi di identità quanto in un problema culturale di fondo che impedisce il loro decollo.
Ci si chiede allora: è possibile un sistema museale integrato ?  Ne esiste la cultura in grado di superare i particolarismi ?

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