MUSEI CIVICI - QUALE FUTURO

MUSEI CIVICI - QUALE FUTURO

mercoledì 30 ottobre 2013

MUSEI A FORLI'

Musei in comune
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Marina Foschi
Italia Nostra-Presidente consiglio regionale Emilia-Romagna

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In una regione di piccole capitali e di storico legame fra città e contado, il Museo Civico raccoglie l’idea stessa di comunità e rappresenta una o più aree culturali interrelate. Anche quando si tratta di raccolte di materiali di culture diverse, queste  esprimono tensioni ed interessi di cittadini in precisi momenti storici e, in ogni caso, il conferimento consapevole al patrimonio comune.
I reperti archeologici, i frammenti salvati da demolizioni o sostituzioni, il patrimonio ecclesiastico secolarizzato vennero raccolti in questi luoghi, accessibili e di sicura conservazione prima ancora delle leggi di tutela. L’abbandono delle campagne e di gran parte dell’artigianato di tradizione, i continui ritrovamenti provenienti dagli scavi per un’espansione edilizia e viaria insaziabili, la crescente produzione artistica del Novecento hanno accumulato patrimoni in alcuni casi di altissimo interesse e, comunque, memoria tangibile da non disperdere.
Negli anni Settanta l’Istituto regionale per i Beni Culturali nacque per ricucire il rapporto, che si andava già perdendo, fra questo patrimonio, da catalogare e restaurare, il centro storico e il territorio, con una progettualità coordinata sapientemente, ma al tempo stesso impostata sulle realtà locali: città e campagna.  Un progetto che non poteva disgiungersi dalla programmazione economica e dalla pianificazione territoriale.  Ne sono testimonianza le leggi regionali, fra loro coordinate, uscite in quegli anni, alle quali non fu estranea l’influenza di Italia Nostra: nel 1973 il Documento sugli indirizzi programmatici; il Corso per Operatori culturali destinati all’IBC; la Legge per i Comprensori quali unità minima di programmazione; nel 1974 la prima legge per i centri storici in Italia e la legge istitutiva dell’IBC.
La successiva separazione fra Cultura e Territorio, fra ambiti culturali e pianificazione territoriale, il progressivo spegnersi della stessa programmazione territoriale in nome della progettualità frammentaria e di corto respiro, priva di una visione di pubblica utilità, hanno infine trovato compiuta applicazione in un concetto di valorizzazione del patrimonio divenuto essenzialmente economico e non più funzionale alla sua conoscenza e conservazione, dopo la creazione della Patrimoniale SpA nel 2002.

Il Museo Civico è parte integrante del tessuto urbanistico storico: strumento educativo ed interpretativo della città e luogo di conservazione del patrimonio e della memoria.   Collocato nei più prestigiosi e riconoscibili edifici storici, inserito nei percorsi urbani più frequentati, strumento educativo che in Emilia-Romagna trova una tradizione di eccellenza, oggi sembra considerato, nell’ulteriore riduzione delle risorse, al più attrazione turistica, valutato sul numero di presenze, merce di scambio con istituti di credito. 
L’esempio di Forlì si pone fra emergenze gravi degli stessi contenitori ed un tentativo di riorganizzazione che ora si trova in mezzo al guado, obbligato com’è a non considerare la totalità del patrimonio che rischia il collasso, non solo per mancanza di risorse, ma per la difficoltà di realizzare quei collegamenti indispensabili per una corretta valutazione delle priorità. Tanto in ambito urbano, quanto nello scambio di esperienze fra luoghi diversi su temi comuni.
Negli anni Ottanta il dibattito su “la città come museo” portò nuove idee sulla funzione del patrimonio collettivo e della città stessa e si parlò di “museo della città” come luogo diffuso di conservazione della memoria.
Il restauro del San Domenico fu avviato da un Soprintendente coscienzioso prima ancora che ne fosse stabilita la destinazione museale.  Ma quel primo intervento del 1990 portò alla consapevolezza di un bene che non poteva più essere tradito nella sua funzione e scardinato nella forma, benché danneggiato.
La mostra dedicata a Melozzo nel 1994 aprì alla città un metodo di lavoro collegiale basato sul rimando fra “ disiecta membra” conservate nei musei e l’identificazione dei luoghi di provenienza, in base a fonti scritte, cartografiche, fotografiche e materiali, attingendo da ogni risorsa degli Istituti culturali, degli Archivi e degli Uffici tecnici del Comune: dalle Cronache dell’età di Melozzo, alla Raccolta Piancastelli, fino alla campagna fotografica di Paolo Monti del 1071 e al capillare rilievo delle facciate del centro storico e di ogni particolare costruttivo, vent’anni dopo.
Oggi le sedi museali costituiscono i punti strategici per la valorizzazione del centro storico, ma quella principale è inagibile, altre sono chiuse o rischiano l’abbandono. Le grandi mostre al San Domenico, partite con lo scopo di valorizzare con precisi rimandi i materiali della Pinacoteca contestualizzandoli con la città e il territorio in un confronto “alto”con il panorama nazionale, hanno fatto breccia nella “scorza” dei cittadini avvezzi a screditare le cose più amate, ma non hanno consentito di completare il riallestimento dei Musei.  
Per i turisti la vera scoperta, ancor più delle mostre, è stata la città stessa: i suoi musei stabili, il suo tessuto pacato e ricco di sorprese.   Perché il patrimonio non si ferma ai musei: le chiese, i palazzi dalle facciate sobrie e dagli interni sorprendentemente ricchi, i giardini segreti e gli orti urbani, l’intera tessitura delle vie e delle piazze, dei percorsi d’acqua sotterranei, costituiscono un centro storico unitario, da conservare, al parti delle Raccolte civiche.

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Fatiscenza e splendore:
la realtà dei Musei civici di Forlì

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Luciana Prati
Italia Nostra - Sez. di Forlì

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Il sistema museale di Forlì è costituito da una complessità di nuclei ormai storicizzati, di formazione ottocentesca: Pinacoteca, Museo archeologico, Museo del Risorgimento, e novecentesca: Armeria Albicini, Museo Etnografico, Museo delle ceramiche, Museo del Teatro e degli strumenti musicali. Una storia lunga duecento anni che è parte integrante della vita civile, culturale ed artistica della città e del suo territorio.
Musei legati agli edifici che li hanno ospitati: fino al 1922 il Palazzo della Missione, attuale sede della Provincia di Forlì-Cesena, insieme con la Biblioteca Comunale; da tale data, dopo che le “Esposizioni romagnole riunite” ne avevano rivelato le potenzialità, il Palazzo del Merenda, già sede dell’Ospedale della Casa di Dio, ancora con la Biblioteca, a cui nel 1938 si erano aggiunte la Biblioteca e le collezioni Piancastelli. E dal 1964 Palazzo Gaddi, nobile e splendida dimora che conserva integre le fasi sei-settecentesche e neoclassiche. E poi Villa Saffi, casa di campagna della famiglia legata alla grande figura di Aurelio Saffi, la Rocca di Ravaldino, luogo della memoria storica della città, il Museo storico “Dante Foschi”, nella ex Casa del Mutilato, le sedi espositive negli edifici di primo Cinquecento di  Palazzo Albertini  e dell’Oratorio di San Sebastiano, fino alle Collezioni naturalistiche; negli  anni 2000 i Musei San Domenico, destinati ad ospitare la sezione antica della Pinacoteca, che vi è stata trasferita solo in parte nel 2006, il Museo archeologico ed il Museo delle Ceramiche ed attuale luogo delle grandi mostre progettate e promosse dalla Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì.  A queste sedi si aggiunge oggi Palazzo Reggiani-Romagnoli, che da fine 2013 esporrà la collezione Verzocchi  “Il Lavoro”ed altre opere del Novecento della Pinacoteca.
Parte integrante delle emergenze territoriali è la dimenticata Fornace Malta, mentre è in fase di acquisizione dal demanio il Convento di Santa Maria della Ripa.
Musei alla cui consistenza e peso culturale ha contribuito fin dai momenti costitutivi la liberalità di privati: oltre alle già citate Albicini, Piancastelli e Verzocchi, si ricordano fra le altre, per la Pinacoteca, le donazioni Paolucci, con i marmi di Adolfo Wildt, Pedriali, con l’importante quadreria che presenta opere di Magnasco, Ruysch, Sablet, Fattori, Righini, con i Morandi, per non parlare del gran numero di oggetti pervenuti nell’Ottocento al Museo archeologico e, fin da subito, al Museo Etnografico. Infine a palazzo Albertini l’esposizione permanente “Res Communis” restituisce alla pubblica fruizione donazioni importanti pervenute nell’ultimo ventennio del Novecento: la quadreria Natalini, importanti nuclei di opere di artisti quali Edgardo Zauli Sajani, Angelini, Boifava oltre ai preziosi oggetti della collezione Bembo.
Nel tempo sono stati realizzati progetti museografici e museologici diversi, documentati dalla letteratura esistente. Dopo l’opera di Antonio Santarelli, che ne fu direttore dagli anni Settanta dell’ Ottocento fino agli inizi del Novecento, determinanti furono quelli del 1921 -22 e degli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso.
Gli anni Duemila si aprono con la grande svolta del progetto per il San Domenico , quello museografico a cura degli studi Wilmotte & Associés (Parigi) e Lucchi & Biserni (Forlì) e quello museologico curato da un gruppo di esperti coordinato da chi scrive, che successivamente con Giordano Viroli ha realizzato il progetto per la Pinacoteca. I Musei San Domenico hanno ottenuto dalla Regione Emilia Romagna il riconoscimento di qualità. Per quanto riguarda la chiesa, ne è stato completato il restauro e ed è in fase di attuazione il progetto di allestimento. Nell’interrato della stessa è prevista la realizzazione del Museo del San Domenico, con la musealizzazione di strutture lasciate a vista e l’esposizione di materiali, per lo più di scavo, che documentano la storia del complesso.
Da ultimo il Comune di Forlì, a seguito di gara ufficiosa, ha affidato ad Andrea Emiliani e Cesare Mari (PANSTUDIO architetti associati) l’incarico di “Ridefinizione del progetto museologico integrato del Complesso di San Domenico”, le cui risultanze sono state edite nel 2013. Lo studio analizza in modo compiuto la situazione dei musei forlivesi, offre importanti conferme ma soprattutto preziose e suggestive ipotesi per il futuro, accoglie la richiesta dell’Amministrazione comunale di rendere Palazzo Reggiani Romagnoli una sede museale. Di qui lavori di adeguamento, non di poco conto e spesa – la destinazione dopo il restauro era ad uffici e ambienti di rappresentanza – ed il prossimo trasferimento della collezione Verzocchi di cui si è detto sopra. Non sono noti costi e modalità di gestione.
Tuttavia in un momento in cui ormai da più di un anno si sono verificati crolli di soffitti e altre gravi criticità in Palazzo del Merenda, si sarebbe potuto posticipare il trasferimento della Verzocchi , che peraltro non risolve i problemi di spazio della Biblioteca e utilizzare Palazzo Romagnoli come luogo in cui temporaneamente collocare sezioni della Biblioteca o dei Musei al fine di consentire i lavori a Palazzo del Merenda. Non sono state rese note le cause che hanno messo in crisi una pur solida struttura, che resiste da quasi tre secoli non solo ai terremoti ma soprattutto agli interventi umani e alle da anni mancate manutenzioni. La visione è desolante: sale e sale puntellate, gran parte dei musei chiusi. Adesso anche gli uffici dei musei sono stati trasferiti a Palazzo Romagnoli, insieme con altri del Servizio politiche culturali; ci si preoccupa e ci si augura che a Palazzo del Merenda, dove peraltro è rimasta la gran parte del patrimonio civico, sia nei grandi depositi (Pinacoteca e Archeologico), sia nelle sale di esposizione, si trovi comunque un modo che ne garantisca sicurezza e controllo. Non solo: è stato più volte dichiarato in sede istituzionale che i musei qui ubicati verranno considerati depositi attrezzati e visitabili a richiesta: soluzione non degna di una “città d’arte”, come si definisce Forlì, e non degna del prestigio delle opere che rimarranno per un tempo non breve in quella che fu la Sala dell’Ebe e di fatto l’ambiente di maggior importanza dell’edifico, cioè i “quadroni” di Albani, Cagnacci, Guercino, Sacchi, Cignani e la Quadreria Piancastelli.  Questa situazione è stata di recente segnalata da Vittorio Emiliani: Soldi solo per mostre. I musei? Sbarrati, nel suo importante report sui Beni culturali.
Stessa sorte per il Museo Etnografico e l’Armeria Albicini. Il Museo archeologico è chiuso dal 1996 e del Museo delle Ceramiche, imballato ormai da mezzo secolo, nessuno si ricorda più.
Quanto alle altre sedi, il quarto stralcio dei Musei San Domenico, che avrebbe dato funzionalità all’esistente e permesso di completarne i percorsi, non verrà mai realizzato; Palazzo Gaddi, dopo l’esemplare restauro delle coperture, della volta dello scalone e dei soffitti delle sale Giani, non viene considerato nella programmazione futura e continuerà il processo di fatiscenza della bellissima cappella di famiglia, ancora integra negli arredi, degli stucchi, delle finestre e dei soffitti dipinti; a Villa Saffi sono pericolanti la parte delle stalle, il cui tetto è ormai crollato, e la rimessa, né si fanno restauri e manutenzioni degli arredi. Della Rocca di Ravaldino ci si ricorda in rare occasioni di utilizzo e manca da tempo il custode, la Fornace Malta è da tempo avviata ad un solitario decadimento. Infine i depositi decentrati, dei quali in situazione precaria, con l’amianto sulla copertura, quello di Villafranca, che dal 2004 ospita la sezione della civiltà contadina, e dunque oggetti  prevalentemente lignei, del Museo Etnografico, di cui i pur lodevoli ma modesti trattamenti generali di disinfestazione e antitarlo non possono garantire la conservazione.
Concludendo, da un lato l’eccellenza dei Musei San Domenico, le grandi mostre, le nuove sedi di Palazzo Reggiani-Romagnoli e dell’ex GIL per il futuro Museo dello Sport, dall’altro la gravissima situazione di palazzo del Merenda e del patrimonio identitario della città, fatiscenza, crolli, abbandono…
Eppure già alla fine del 1995 fu presentato dall’Amministrazione comunale un Progetto Cultura che metteva in rete e a sistema patrimonio ed emergenze architettoniche e dava l’avvio al progetto per il San Domenico.
Oggi solo il Progetto ATRIUM mette in rete gli edifici del Ventennio, mentre il Progetto cultura presentato nel maggio 2013 focalizza l’attenzione su pochi punti, segnatamente Palazzo Romagnoli e San Domencio e lascia all’oblio ed alla decadenza (assistita?) tutto il resto.
Con l’amato Foscolo: “… e l’estreme sembianze e le reliquie / della terra e del ciel traveste il tempo”.

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